Il richiamo della roccia
Va bene, ok! E' vero, non sono andato certo in Australia per scalare. Le motivazioni che mi hanno spinto ad andare dall'altra parte del mondo sono le più disparate e non è certo mia intenzione discuterle in questo simpatico blog di arrampicata. Sta di fatto che mi sono ritrovato in una realtà completamente diversa da quella a cui ero abituato.
Gente solare e tranquilla, amichevole e gentile, spiagge da panico, senza ombrelloni, senza sdraio, onde perfette che si spaccano come un metronomo, una dopo l'altra; e centinaia di buffi ometti, infilati in succinte mute, come tante foche che vedevo galleggiare, là fuori, oltre il punto di rottura, aspettando l'onda perfetta. Volevo essere uno di loro! Ho dimenticato l'arrampicata, l'ho presa e messa in un cassetto. Lì non esiste. Lì c’è il surf!
Così comprai muta e tavola e senza un minimo di idea di cosa stessi facendo cominciai a provare. Solo il fatto di riuscire a nuotare oltre il punto di rottura delle onde era per me una soddisfazione immensa. Tante volte le onde erano troppo grosse e troppo forti per me e non potevo fare altro che tornare a casa con le pive nel sacco. Ma come in qualsiasi cosa si voglia davvero fare, costanza e perseveranza sono fattori essenziali per la riuscita!
Mai avevo sperimentato sulla mia pelle uno sport che necessiti così tanto allenamento e così tanta pratica come con il surf. C'è bisogno di tempo affinché i muscoli della schiena e delle spalle si sviluppino e ti consentano di nuotare più forte e più a lungo contro la corrente; c'è bisogno di tempo affinché tu riesca finalmente a raggiungere un certo feeling con la tavola e con la spinta dell'onda; e infine c'è bisogno di una marea di tempo per capire come alzarsi dalla tavola e farsi portare dalla forza infinita dell'oceano.
Con la pratica e la pazienza (oltre che con cadute, spaventi e immense bevute di acqua salata), raggiunsi un discreto livello come surfer; e non era niente male. Quando finalmente riesci ad alzarti dalla tavola, metterti in piedi e farti trasportare dall'onda, vedere il tubo dell'onda che si rompe, ed esserci dentro anche solo per un decimo di secondo, ecco, quella è una sensazione davvero fantastica! Cominciai ad andare sempre più spesso. Con local molto più bravi di me da cui ho imparato un po' di tecniche e segreti. Poi cominci a imparare che l'onda perfetta è una combinazione di innumerevoli variabili come maree, moto ondoso, vento, fondale e altre cose di cui onestamente non mi importava nemmeno. Per il livello che avevo mi bastava andare in acqua e prendere le mie 3-4 onde e tornare a casa felice.
Ma qualcosa scattò. Qualcosa che avevo messo in un cassetto qualche mese prima tornò a bussare nel mio cervello pieno di acqua salata. Cominciò a succedermi di essere la fuori, oltre il break e con davanti solo l'immenso oceano pacifico; ma il mio sguardo cominciava a vagare, non più in cerca dell'onda perfetta, ma sulle scogliere strapiombanti, sui boulder erratici sulle spiagge e su qualsiasi cosa su cui ci si potesse arrampicare.
Cominciai a fare un po' di traversi sulle scogliere. Poi cominciai a vagabondare per le spiagge in cerca di qualche blocco. Era difficile ma dovevo saziare la mia fame di roccia in qualche modo.
Trovai un paio di bei blocchi proprio in riva al mare dove spendevo ore a pelarmi le mani e ghisarmi gli avambracci. I surfisti che uscivano dall'acqua mi guardavano incuriositi, chiedendosi perché mai una persona dovrebbe mettersi a scalare un sasso sulla spiaggia. Ma il grido della pietra mi stava chiamando, non potevo che rispondere.
Non smisi mai di surfare perchè quella è la terra del surf! Ricominciai semplicemente a scalare. Scoprii in modo definitivo che il mio elemento era la roccia, non l'acqua.